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Testo piano UE per Clima

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Piano UE sul clima: testo integrale sull’ambiente

Salvaguardia del clima in tempi di crisi: ricetta all’italiana

L’accesa protesta dell’Italia contro il Piano Ue per Clima ed Energia, il cosiddetto Pacchetto del 20-20-20, per ora ha avuto l’effetto di surriscaldare i rapporti tra Roma e molti partner europei, ma promette di alzare anche la temperatura in senso meno metaforico. (Il testo integrale si trova alla fine di questo articolo)

Il Piano sul clima varato nel 2007 dal Collegio dei Commissari e approvato nel Gennaio 2008 dai 27 membri dell’Unione con la firma dei rispettivi esecutivi nazionali, prevede il taglio del 20% delle emissioni di CO2, ovvero di anidride carbonica, un miglioramento del 20% dell’efficienza nel settore industriale, e un aumento del 20% della produzione energetica da fonti rinnovabili; questi parametri si riferiscono ai dati del 1990. Il Piano sul clima entrerà in vigore dal 2010, e il 2020 è la data limite per raggiungere i traguardi indicati. In linea con i parametri fissati nel 1997 con il Protocollo di Kyoto sulla limitazione di emissione di CO2, il Pacchetto 20-20-20 si presenta come misura improrogabile per la battaglia contro il surriscaldamento del pianeta e la salvaguardia dell’ambiente prima dell’irreparabile.

Banksy

Con l’inizio dell’autunno e lo scoppio della crisi finanziaria, il Premier Silvio Berlusconi ha espresso la volontà di modificare i parametri contenuti nel Piano sul clima, e posticipare di almeno un anno la sua entrata in vigore. Ignorando chi, come ad esempio il Presidente di turno della Ue, il francese Nicholas Sarkozy, ha bollato come “irresponsabile” questa richiesta, il Presidente del Consiglio ha ripetuto che giudica troppo elevati i costi che l’industria italiana dovrebbe sostenere per rispettare il taglio del 20% di emissione di CO2 e l’aumento del 20% nello sfruttamento di energia rinnovabile; a Roma si parla di un’incidenza di +1,54% sul PIL, il Prodotto Interno Lordo, calcolabile tra i 18 e i 22 miliardi di Euro. Al Commissario UE Stavros Dimas, dichiaratosi “allibito” per questi numeri, il Ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo ha consigliato di rileggersi i documenti offerti dalla Ue stessa, riferendosi all’Allegato sulle Stime di Impatto relative al Piano sul Clima e l’Energia. Stavros Dimas allora ha ripetuto che secondo quell’Allegato il Piano inciderà sul PIL da +0,51 a +0,66, impatto calcolabile tra 9,5 e i 12,3 miliardi di Euro, e ha specificato che le stime segnalate da Berlusconi e Prestigiacomo si verificherebbero solo nel clamoroso caso in cui l’Italia trascurasse lo sfruttamento di energia rinnovabile, diminuisse l’efficienza delle proprie industrie, e continuasse ad emettere CO2 in palese violazione del protocollo di Kyoto.

Il Governo Italiano ha sbandierato il Protocollo di Kyoto proprio per avvalorare le sue ragioni, sottolinenado che il testo ratificato da tutti i Paesi del mondo resta un palliativo di fronte all’innalzamento della temperatura del globo, Lo scioglimento dei ghiacci per i cambiamenti del climasenza la firma di Stati Uniti e Cina, i massimi inquinatori del pianeta. Tuttavia negli USA, la cui politica federale è stata condizionata dalle potenti lobby industriali, Stati come la California e più in generale molte città del Paese si sono spontaneamente adeguate al protocollo di Kyoto da diversi anni. Con l’elezione del democratico Barack Obama a 44° presidente degli Stati Uniti, Washington muterà la politica in materia di clima ed energia condotta fin qui da Bill Clinton e George W. Bush, i precedenti presidenti. Obama ha già annunciato che promuoverà le fonti energetiche rinnovabili smarcandosi dalla dipendenza statunitense di gas e petrolio. Inoltre, associando le istanze per la tutela dell’ambiente con le misure da adottare per contrastare gli effetti della crisi finanziaria, varerà un piano che mira a tagliare dell’ 80% le emissioni di CO2 entro il 2050; per raggiungere questo traguardo, coinvolgerà le industrie automobilistiche, puntando sulla produzione di veicoli a basso impatto ambientale. Le case storiche, General Motors, Chrysler e Ford, oggi sono sull’orlo della bancarotta; grazie al cambio del parco macchine americano, si cerca una rinascita dell’economia e il rilancio dell’occupazione in questo settore. Questa visione si allinea con il pensiero dei maggiori esperti di settore, come ad esempio quello dell’economista Jeremy Rifkin; il teorico di un progresso sostenibile, spiega che la rivoluzione energetica è l’unica soluzione per superare la crisi finanziaria e al tempo stesso la crisi ambientale, entrambe fondamentali per il futuro. Altre formule sarebbero destinate a fallire. La Cina stessa si sta sensibilizzando alla questione, prima che diventi un pericoloso problema sociale; nel Paese asiatico a causa dell’inquinamento muoiono 750.000 persone all’anno (rapporto pluriennale congiunto Cina-Banca Mondiale diffuso dal Financial Times nel 2007), e su internet fluttuano i primi collegamenti tra le città schermate dallo smog, in mondovisione alla vigilia delle Olimpiadi, e le malattie respiratorie di cui soffrono moltissimi cittadini urbanizzati.

La Ue, per voce del Presidente della Commissione Josè Barroso, sostiene che non ci saranno nè modifiche nè ritardi, costringendo il Ministro Prestigiacomo a minacciare il veto, misura in grado di mandare a monte l’intero Piano sul clima. Lo stesso Berlusconi vanta alleati in questa crociata, citando 9 paesi dell’Europa orientale che vorrebbero cambiare l’annata di paragone per fissare i parametri, il 2005 invece del 1990, ma non i parametri stessi.

Tuttavia Roma non ci sta a passare per il cattivo di turno. Lo scorso 21 Ottobre il Ministro Prestigiacomo, sostenuta da tutto il Governo per la sua battaglia sul clima a difesa dell’Italia, ha proposto una soluzione alternativa per ridurre l’emissione di CO2, esponendo un progetto architettato da Eni ed Enel, società a partecipazione statale, e patrocinato proprio dal Ministero dell’Ambiente. Si tratterebbe di catturare l’anidride carbonica e processarla chimicamente per ridurla a liquido, e in questo stato stipata in fusti da interrare in cave dismesse. Paolo Scaroni, Amministratore delegato di Eni, Fulvio Conti, amministratore delegato di Enel, e la Prestigiacomo, parlano di un brevetto da esportare come risorsa mondiale contro l’inquinamento. Resta il dubbio di come sia possibile che a nessuno fosse ancora venuto in mente di acchiappare l’inquinamento e nasconderlo, invece di ridurlo. In effetti in Norvegia esiste già una catena somigliante per lo smaltimento dell’anidride carbonica, e lo Ue sta vagliando molti progetti che prevedono simili medoti per limitare la diffusione di CO2 nell’ambiente.

Ci vorrebbe un sistema del genere per sotterrare anche le recenti polemiche tra Italia e Ue, e spegnere lo scontro sul clima. Forse si eviterebbe di alzare ulteriormente la tempareatura, in senso tutt’altro che metaforico. di Cristiano Arienti per e-potion

L’Europa in movimento, Commissione europea

Direzione generale della Comunicazione

Ultima redazione del manoscritto: settembre 2007

La lotta contro i cambiamenti climatici

L’UE apre la strada

Ormai è un dato acquisito in tutto il mondo: se non ci muoveremo in fretta, il nostro pianeta subirà un cambiamento climatico irreversibile. L’UE ha già dato una risposta chiara adottando una politica integrata in materia di energia e di cambiamento climatico ed impegnandosi a ridurre le emissioni di gas responsabili dell’effetto serra di almeno il 20 % entro il 2020 nonché a condurre negoziati internazionali mirati a raggiungere obiettivi ancora più ambiziosi. Ciò contribuirà a scongiurare che la temperatura del pianeta salga di più di 2 °C, ovvero il livello che sempre più scienziati considerano come il punto di non ritorno. Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo utilizzare le risorse energetiche in maniera più sostenibile, optare per forme d’energia rinnovabili, catturare e stoccare l’anidride carbonica e lottare più fermamente per invertire il disboscamento delle foreste. Questa sfida potrebbe richiedere dei cambiamenti nelle nostre abitudini quotidiane, ma consentirà di salvaguardare la qualità della vita nostra e delle generazioni future.

Unione europea

Indice

La minaccia e la sfida

La strada da seguire: una risposta integrata

Partire dai traguardi raggiunti

Il contributo della politica energetica

Il ruolo della tecnologia

Ridurre il proprio apporto alle emissioni di carbonio

Per approfondire

La minaccia e la sfida

Il cambiamento climatico è una delle più serie minacce per il futuro del nostro pianeta. Se la temperatura media della terra aumenterà di oltre 2 °C rispetto al livello dell’era pre-industriale, i cambiamenti climatici diventeranno probabilmente irreversibili, con gravissime conseguenze a lungo termine. Le zone basse del pianeta, comprese vaste regioni di numerosi paesi europei, potrebbero infatti essere sommerse a causa dei crescenti livelli del mare; in molte parti del mondo non ci sarebbe più abbastanza acqua potabile; gli eventi meteorologici estremi, causa di danni materiali ed economici, diventerebbero sempre più frequenti. Il prezzo da pagare per convivere con un clima diverso sarebbe un crollo delle nostre economie.

La temperatura media della terra è stata stabile per 10 000 anni, fino alla rivoluzione industriale. Dal 1850, data a partire dalla quale iniziano le misurazioni costanti e raffrontabili, essa è salita di 0,76 °C. Se non interveniamo, essa salirà probabilmente di altri 1,8-4,0 °C entro questo secolo, ed eventualmente di un massimo di 6,4 °C, secondo un comitato scientifico internazionale convocato dalle Nazioni Unite (ONU). È partita dunque la corsa contro il tempo per impedire che la terra raggiunga il probabile punto di non ritorno, cioè un aumento di 2 °C. Una corsa che verrà quasi sicuramente persa se non riusciremo a stabilizzare le emissioni mondiali al più tardi intorno al 2020, e a portarle entro il 2050 a un livello equivalente circa alla metà di quello del 1990.

Perché il clima sta cambiando

L’atmosfera contiene vapore acqueo, anidride carbonica e altri gas presenti allo stato naturale che lasciano passare i raggi solari ma assorbono il calore riflesso dalla terra. Questo processo naturale, detto «effetto serra», mantiene la temperatura della terra a un livello tale da consentire la vita sul pianeta. Senza di esso la temperatura media globale sarebbe infatti insopportabile: – 18 °C!

Attualmente attività umane come la combustione dei combustibili fossili e la distruzione delle foreste per ottenere terreni agricoli fanno aumentare i livelli atmosferici dell’anidride carbonica e degli altri gas che «intrappolano» il calore. L’aggiunta di tali gas provoca un effetto serra artificiale che si aggiunge all’effetto serra naturale, rendendo la terra più calda e modificandone il clima.

La soluzione sta nella riduzione delle emissioni mondiali di gas responsabili dell’effetto serra, in particolare di anidride carbonica. Ciò richiede un miglior uso delle risorse naturali. I combustibili fossili, ovvero il petrolio, il gas e il carbone che bruciamo per l’elettricità, per il riscaldamento, per il raffreddamento e per i trasporti, sono fonti massicce di emissione di gas responsabili dell’effetto serra. È necessario bruciarne di meno e bruciarli in maniera più efficace. Al contempo è importante impedire che l’anidride carbonica finisca nell’atmosfera, ad esempio «catturandola» mentre viene prodotta e conservandola nel sottosuolo, presso giacimenti di gas o miniere di sale in disuso.

Invertire la deforestazione, in particolare la sparizione delle foreste tropicali, che fungono da «pozzi» di carbonio che assorbono l’anidride carbonica, è un altro punto fondamentale nella lotta contro i cambiamenti climatici. Le foreste assorbono infatti il biossido di carbonio mentre crescono, ma lo rilasciano quando vengono tagliate.

Vi sono altri fattori che contribuiscono al riscaldamento del pianeta, come il metano emesso smaltendo i rifiuti nelle discariche o le emissioni provocate dall’uso eccessivo di fertilizzanti, ma i colpevoli principali rimangono l’uso di combustibili fossili e la deforestazione.

La strada da seguire: una risposta integrata

L’UE pensa che la strada da seguire sia una politica integrata in materia di energia e di cambiamento climatico, essendo ormai appurato che bruciare i combustibili fossili contribuisce in maniera sostanziale al cambiamento climatico. I leader dell’UE hanno sancito tale strategia nel marzo 2007. Ciò dimostra che l’Europa ha assunto un ruolo di leadership nella lotta al cambiamento climatico, preparando al contempo il terreno per il rafforzamento della propria sicurezza di approvvigionamento energetico e della propria concorrenzialità.

La politica integrata in materia di energia e cambiamento climatico preannuncia il lancio di una nuova rivoluzione industriale, volta a trasformare il modo in cui produciamo ed usiamo l’energia nonché i tipi di energia che utilizziamo. L’obiettivo è passare a un economia compatibile con il clima, basata su una combinazione di tecnologie e di risorse energetiche a bassa emissione di anidride carbonica.

Per contenere il surriscaldamento del pianeta a 2°C sarà necessario fermare l’aumento delle emissioni mondiali di gas responsabili dell’effetto serra entro 10-15 anni, e ridurle a metà dei livelli del 1990 entro il 2050. L’UE punta a un nuovo patto mondiale per raggiungere tali obiettivi. Essa ritiene che il primo passo dovrebbe essere la riduzione collettiva, da parte delle potenze industriali, delle proprie emissioni di gas responsabili dell’effetto serra, raggiungendo entro il 2020 un livello inferiore del 30 % rispetto ai livelli del 1990. Anche i paesi in via di sviluppo, come ad esempio la Cina e l’India, dovranno iniziare a contenere la crescita delle proprie emissioni.

Per sottolineare la propria determinazione e per dare un buon esempio ai propri partner, l’UE ha accettato di ridurre le proprie emissioni di gas responsabili dell’effetto serra almeno del 20 % entro il 2020, a prescindere da quel che faranno gli altri paesi. L’UE pensa di raggiungere tale riduzione attraverso le azioni previste nel quadro della nuova politica integrata in materia di energia e di cambiamento climatico, che si aggiungeranno alle misure già in vigore.

I capi di Stato e di governo dell’UE hanno deciso:

di economizzare il 20 % del consumo di energia rispetto alle previsioni per il 2020 migliorando l’efficienza energetica;

di aumentare la quota di energie rinnovabili sul consumo energetico totale del 20 % entro il 2020, andando così vicini a triplicare il livello attuale;

di decuplicare, raggiungendo almeno il 10 % del totale, la quota di biocarburanti sul consumo totale di benzina e gasolio entro il 2020, a condizione che diventino disponibili sul mercato biocarburanti sostenibili «di seconda generazione» ricavati da culture non alimentari;

di sviluppare e promuovere tecnologie a bassa emissione o a emissione zero, fra cui la cattura e lo stoccaggio del carbonio — tecnica che consiste nell’impedire che il CO2 penetri nell’atmosfera catturandolo e conservandolo nel sottosuolo presso giacimenti di gas o miniere di sale in disuso — affinché tali tecnologie apportino un contributo essenziale alla riduzione delle emissioni entro il 2020;

di integrare meglio i mercati energetici dell’UE, creando ad esempio un mercato europeo del gas e dell’elettricità improntato alla concorrenza;

di integrare meglio la politica energetica dell’UE con altre azioni, non solo nel quadro della politica ambientale, ma anche di quella in materia di ricerca, agricoltura e commercio;

di rafforzare la cooperazione internazionale: se l’UE riuscirà ad adottare un approccio comune nel settore dell’energia e ad articolarlo in maniera univoca, essa potrà assumere un ruolo di leader del dibattito a livello mondiale.

Il punto di partenza consiste in un piano triennale di azione energetica per l’Europa (2007-2009) mirato a portare l’UE ed i suoi cittadini sulla rotta giusta per conciliare la lotta contro il cambiamento climatico con una maggiore sicurezza in materia di approvvigionamento energetico e con una crescita economica costante.

Cosa dicono gli scienziati

Nel corso degli ultimi 150 anni, la temperatura media è aumentata quasi di 0,8 ºC a livello mondiale. L’Europa si riscalda più velocemente rispetto alla media mondiale: la nostra temperatura media è aumentata infatti di circa 1 ºC. Undici dei dodici anni più caldi a livello mondiale da quando sono iniziate misurazioni affidabili, nel 1850, sono stati registrati tra il 1995 ed il 2006. Le conseguenze della crescita delle temperature sono i ghiacci che si sciolgono nella regione artica e sulle Alpi, i cambiamenti nelle precipitazioni piovane e nevose, la siccità e le ondate di calore, nonché l’intensità dei cicloni tropicali.

Secondo molti esperti, se vogliamo impedire che il cambiamento climatico provochi conseguenze irreversibili, dobbiamo limitare il riscaldamento del pianeta a non più di
2 ºC in più rispetto alla temperatura dell’era preindustriale. Negli ambienti scientifici vi è comunque un consenso generalizzato sul fatto che, in mancanza di provvedimenti, nel corso di questo secolo la temperatura media del mondo potrebbe aumentare fino a 6 ºC oltre i livelli odierni.

Tra il 1970 ed il 2004 a livello mondiale vi è stato un aumento del 70 % delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra. Nel settore della fornitura di energia l’aumento è stato del 145 %. La crescita dovuta ai trasporti è stata del 120 %, quella dovuta all’industria del 65 %. Inoltre vi è stato un aumento del 40 % a causa della ridotta capacità delle foreste di «intrappolare» le emissioni di anidride carbonica in seguito ai cambiamenti dello sfruttamento del territorio.

Il forum internazionale incaricato di valutare le prove scientifiche del cambiamento climatico e le sue conseguenze è il Gruppo intergovernativo per il cambiamento climatico (IPCC), creato nel 1988 su iniziativa congiunta del programma ambientale delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM). L’IPCC si incarica di valutare le informazioni scientifiche, tecniche e socioeconomiche utili alla comprensione del rischio di cambiamento climatico provocato dall’uomo, avvalendosi della collaborazione di centinaia di esperti di primo piano in tutto il mondo. Dal 1990 l’IPCC ha pubblicato quattro relazioni di valutazione, fino alla più recente nel 2007. La convinzione del Gruppo secondo cui i cambiamenti climatici siano da attribuire in primo luogo ai gas responsabili dell’effetto serra è andata via via consolidandosi con ciascuna relazione.

Per il bene delle generazioni future

È probabile che la lotta contro i cambiamenti climatici richieda importanti adeguamenti delle nostre abitudini quotidiane, ma non dovremo certo sacrificare la qualità della nostra vita. Tali cambiamenti sono infatti perfettamente compatibili con le priorità dell’UE in materia di occupazione e crescita nonché con lo sviluppo sostenibile.

I costi della nostra azione saranno estremamente limitati, e in ogni caso assai inferiori ai costi dei danni che causerebbe il cambiamento climatico se non agissimo affatto. Se i paesi sviluppati concorderanno di ridurre le proprie emissioni collettive del 30 % entro il 2020, la crescita economica mondiale subirebbe un ridimensionamento inferiore allo 0,2 %.

Si tratta di un prezzo assai limitato da pagare per scongiurare i potenziali costi a lungo termine del cambiamento climatico; senza tenere poi conto del valore aggiunto di altri benefici, come la riduzione dell’inquinamento atmosferico, la sicurezza dell’approvvigionamento energetico a prezzi prevedibili e il rafforzamento della concorrenzialità grazie all’innovazione. In pratica, i costi economici della riduzione delle emissioni verranno con ogni probabilità più che compensati da questi benefici.

Emissioni di gas responsabili dell’effetto serra per persona nei paesi dell’UE, 1990 e 2005

Paese: 1990 2005

Belgio: 14.7 13.8

Bulgaria 13.2 9.0

Repubblica Ceca 18,9 14.2

Danimarca 13.4 11.2

Germania 15.5 12.1

Estonia 27.8 15.3

Irlanda 15.8 17.8

Grecia 10.7 12.6

Spagna 7.4 10.2

Francia 10.0 9.1

Italia 9.2 10.0

Cipro 10.5 13.2

Lettonia 9.9 4.7

Lussemburgo 33.4 28.0

Ungheria 9.5 8.0

Malta 6.3 8.5

Olanda 14.3 13.0

Austria 10.3 11.4

Polonia 12.8 10.5

Portogallo 6.0 8.1

Romania 10.7 7.1

Slovenia 9.2 10.2

Slovacchia 13.8 9.0

Finlandia 14.3 13.2

Svezia 8.5 7.4

Gran Bretagna 13.5 10.9

Media Ue (27) 11.9 10.5

Emissioni in Tonnellate di CO2 equivalente

Partire dai traguardi raggiunti

L’UE non parte da zero nella sua lotta contro il cambiamento climatico. Da molti anni essa ha infatti gradualmente incentivato le misure volte ad aumentare l’efficienza energetica, a limitare le emissioni delle industrie e delle automobili e ad incoraggiare il risparmio energetico. Anche le normative sul riciclaggio e le restrizioni riguardo all’uso delle discariche contribuiscono a ridurre la quantità di carbonio emessa dall’UE, la cosiddetta «impronta carbonica». Il settimo programma quadro in materia di ricerca e sviluppo tecnologico è solo l’ultimo di una serie di programmi comunitari di ricerca mirati a porre l’accento sull’ambiente, sulle energie pulite a basso tasso di carbonio e sul cambiamento climatico.

Ma l’UE si prepara innanzitutto a lanciare un programma volto a ridurre le emissioni dell’8 % entro il 2012. L’Unione si è impegnata a raggiungere tale obiettivo in conformità al protocollo di Kyoto della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

Il protocollo di Kyoto

Il protocollo di Kyoto è stato adottato nel 1997: firmandolo, tutti i paesi industrializzati si sono impegnati a ridurre del 5,2 %, in media, le proprie emissioni di gas responsabili dell’effetto serra tra il 1990 ed il 2012. I 15 paesi che all’epoca componevano l’UE sono andati ancora più in là, impegnandosi collettivamente a ridurre le proprie emissioni dell’8 %. Il protocollo ha inoltre introdotto dei meccanismi flessibili basati sul mercato, fra cui lo scambio dei diritti d’emissione, per aiutare i paesi industrializzati a raggiungere l’obiettivo sostenendo meno spese nonché per incoraggiare gli investimenti in progetti a energia pulita nei paesi in via di sviluppo e nelle economie in transizione.

Benché gli Stati Uniti e l’Australia non abbiano ratificato il protocollo e non contribuiscano dunque ufficialmente al suo obiettivo, l’UE ha continuato a portare avanti misure concrete per raggiungerlo, tenendo conto dei livelli di sviluppo economico ed industriale di ciascuno Stato membro. La maggior parte dei paesi che hanno aderito all’UE nel 2004 aveva negoziato obiettivi individuali nel quadro del protocollo di Kyoto, prima della propria adesione all’UE.

Raggiungere gli obiettivi

Il programma mirato ad aiutare l’UE ed i suoi Stati membri a raggiungere i propri obiettivi nel quadro del protocollo di Kyoto si intitola «Programma europeo per il cambiamento climatico» (ECCP). Gestito dalla Commissione europea, il programma ha finora consentito l’attuazione di circa 40 strategie e misure a livello europeo. Le misure comunitarie, che completano le azioni intraprese da ciascuno Stato membro a livello nazionale, comprendono norme energetiche sugli edifici nonché regolamenti volti a limitare l’uso di alcuni gas industriali che contribuiscono particolarmente al riscaldamento climatico. Finora il sistema comunitario di scambi di quote d’emissione di gas responsabili dell’effetto serra (cfr. riquadro alla pagina 12) rappresenta la misura più importante introdotta dal programma ECCP.

L’UE è riuscita a spezzare il legame tra crescita economica ed emissioni di gas responsabili dell’effetto serra: infatti tra il 1990 ed il 2005, nel pieno di una crescita economica nell’UE, le emissioni globali dei suoi 27 Stati membri sono diminuite del 7,9 %. Per quanto riguarda i 15 Stati membri «più anziani» (UE-15), tale ribasso è stato dell’1,5 %. Si tratta di cifre incoraggianti, ma bisogna fare ben di più per raggiungere l’obiettivo UE-15 di una riduzione dell’8 % entro il 2012. Le ultime proiezioni indicano che tale obiettivo può essere raggiunto, a condizione che i paesi dell’UE attuino veramente tutte le azioni previste.

Un meccanismo innovativo

Il sistema di scambio delle quote di emissione dell’UE («sistema UE ETS»), introdotto nel gennaio 2005, rappresenta la pietra angolare della strategia dell’UE per la lotta al cambiamento climatico. Si tratta del primo sistema internazionale di scambio di quote per le emissioni di CO2, sistema che ha fatto scuola nel mondo intero. Lo scambio delle quote di emissione consente una riduzione dei costi per la riduzione delle emissioni.

Attualmente, il sistema UE ETS è applicato a circa 10 500 impianti del settore energetico ed industriale, collettivamente responsabili di circa la metà delle emissioni di CO2 nell’UE. Applicando un costo alle emissioni di carbonio di tali impianti, il sistema crea per le imprese partecipanti un incentivo permanente a ridurre le proprie emissioni nella misura del possibile.

Il sistema prevede che le autorità nazionali di ciascun paese dell’UE assegnano un determinato numero di diritti di emissione a ciascun impianto. L’imposizione di un «tetto», o massimale, del numero totale di diritti, dà origine alla penuria di diritti necessaria perché il mercato funzioni. Le imprese che mantengono le loro emissioni al di sotto del livello dei loro diritti possono vendere i diritti di cui non hanno bisogno. Quelle che fanno fatica a conservare i propri diritti devono invece adottare misure per ridurre le emissioni (ad esempio, investendo in tecniche più efficaci o utilizzando meno fonti d’energia a forte tasso di carbonio), o rivolgersi al mercato per acquistare i diritti supplementari di cui necessitano, pagando altre imprese perché riducano le emissioni a loro nome.

Le imprese partecipanti al sistema UE ETS possono anche utilizzare crediti di emissione generati da progetti di riduzione delle emissioni in paesi terzi. Si tratta di due meccanismi previsti dal protocollo di Kyoto, ovvero del meccanismo di sviluppo ecologico (CDM) e dell’attuazione congiunta(Joint Implementation). La domanda di tali crediti rappresenta un potente motore per investimenti in idee che contribuiscano a ridurre le emissioni in altri paesi.

Ma gli impianti dei settori dell’energia e dell’industria non sono gli unici responsabili dell’aumento del livello di CO2 nell’atmosfera. È per questo che la Commissione europea ha proposto di estendere il sistema UE ETS, a partire dal 2011, anche al settore aeronautico, fonte di emissioni sempre più massicce. La revisione del sistema attuale in corso potrebbe portare all’inclusione di ulteriori settori e gas.

Il contributo della politica energetica

Le emissioni di gas responsabili dell’effetto serra provengono in gran parte dall’utilizzo e dalla produzione di energia. Ecco perché la politica energetica è essenziale per raggiungere gli obiettivi in materia di lotta al cambiamento climatico. Agire congiuntamente nel settore dell’energia non rappresenta una novità: da molti anni l’UE dispone infatti di un quadro strategico comune in materia. Anche una risposta comunitaria congiunta a una crisi energetica non sarebbe una novità: infatti, in seguito alla crisi di approvvigionamento dei primi anni 1970, l’UE si è dotata di una politica coordinata per quanto riguarda le riserve strategiche di petrolio greggio e di prodotti petroliferi.

Di fronte agli avvertimenti sempre più pressanti lanciati degli scienziati sugli effetti del cambiamento climatico, l’UE ha riconosciuto la necessità urgente di raccogliere una serie di temi in un’unica politica integrata in materia di clima e di energia per l’Europa. Tale politica punta ad assicurare la competitività, la sostenibilità e la sicurezza degli approvvigionamenti energetici nonché la loro integrazione con pratiche ambientali ottimali al fine di ridurre le emissioni di CO2 e di altri gas responsabili dell’effetto serra.

Gli elementi chiave della politica energetica dell’UE sono i seguenti:

una maggiore efficacia dei mercati dell’energia e del gas;

la diversificazione;

una politica ambiziosa a favore delle energie rinnovabili;

un comportamento energetico intelligente;

la cooperazione internazionale.

Una maggiore efficacia dei mercati dell’energia e del gas

Le scelte che facciamo come consumatori hanno un impatto reale sulle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra derivate dall’utilizzo e dalla produzione di energia. Praticamente tutti i consumatori europei sono ormai liberi di acquistare il gas e l’energia presso fornitori di loro scelta, tra cui alcuni specializzati in energie rinnovabili. L’accresciuta efficienza dei mercati sta rendendo l’energia più accessibile, contribuendo a superare gli ostacoli che si frappongono alla riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra. Al contempo essa aiuta l’industria europea a conservare il proprio vantaggio concorrenziale. Tuttavia vi è ancora spazio per dei miglioramenti: dobbiamo assicurare condizioni eque per tutti, non svantaggiando le nuove imprese del settore e facendo circolare liberamente il gas e l’energia all’interno delle frontiere dell’UE. Il commercio transfrontaliero è infatti fondamentale perché i mercati siano caratterizzati da un livello di concorrenza possibilmente elevato.

Diversificazione

Più sicurezza nell’approvvigionamento significa non dover fare affidamento su una sola fonte energetica o su un pugno di paesi fornitori esterni all’UE. Significa produrre più energia all’interno dell’UE, e, se necessario, assicurarsi l’approvvigionamento da altre regioni del mondo politicamente stabili. Significa anche accettare di condividere gli approvvigionamenti durante i periodi di crisi, giacché il livello di dipendenza dalle importazioni varia considerevolmente da un paese all’altro dell’UE.

Circa l’80 % dell’energia che consuma l’UE proviene da combustibili fossili (petrolio, gas naturale e carbone) che rappresentano importanti fonti di emissioni di CO2. La tecnologia contribuisce a ridurre tali emissioni, e le tecniche «pulite» di utilizzo del carbone dovrebbero diventare operative nel corso del prossimo decennio. Tuttavia le risorse in combustibili fossili sono limitate e saranno quasi esaurite entro la metà del secolo. Limitare il ricorso ai combustibili fossili contribuisce quindi a migliorare la sicurezza energetica dell’UE e a limitare il cambiamento climatico.

In più le risorse proprie di combustibili fossili dell’UE si stanno esaurendo più rapidamente di quelle del resto del mondo. L’UE è sempre più dipendente dalle importazioni, e dunque sempre più vulnerabile di fronte alle crisi dei prezzi e degli approvvigionamenti. Se non metteremo sotto controllo il nostro consumo energetico e non differenzieremo le nostre fonti energetiche, la nostra dipendenza dalle importazioni di petrolio e gas potrebbe raggiungere rispettivamente il 93 % e l’84 % entro il 2030. Attualmente il 50 % circa degli approvvigionamenti di gas dell’UE proviene da tre sole fonti: Russia, Norvegia e Algeria. Il livello generale della dipendenza dell’UE in relazione alle energie importate era pari al 52,3 % nel 2005.

Visto che l’UE non possiede risorse proprie in combustibili fossili, la diversificazione verso una maggiore produzione energetica interna imporrà un maggiore ricorso alle tecnologie a tenore di carbonio basso o nullo basate su fonti d’energia rinnovabili, quali l’energia solare, l’energia eolica, l’energia idraulica e la biomassa. A lungo termine una quota della nostra energia potrebbe venire anche dall’idrogeno. In alcuni paesi dell’UE anche l’energia nucleare farà parte del mix di energie. Nel prossimo futuro l’energia nucleare proverrà dalla fissione nucleare, poiché la tecnologia basata sulla fusione nucleare non sarà probabilmente disponibile prima della seconda metà del secolo.

Consumo di energia per tipo di combustibile, 2005

Vedi sito UE

Una politica ambiziosa a favore delle energie rinnovabili

Sin dagli anni 1990 l’UE ha iniziato a sviluppare ed incoraggiare l’utilizzo e la produzione di energie rinnovabili per sostituirle ai combustibili fossili. La promozione dell’energia rinnovabile permette di differenziare l’utilizzo delle fonti di energia e contribuisce alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico nonché allo sviluppo di nuove industrie e tecnologie.

Inizialmente i paesi dell’UE avevano concordato un obiettivo indicativo del 12 % per l’approvvigionamento energetico da fonti rinnovabili entro il 2010. Per raggiungerlo sono state adottate nuove leggi che fissano obiettivi nazionali riguardo all’elettricità prodotta a partire da fonti d’energia rinnovabili ed ai biocarburanti nei trasporti, in modo da alzare la quota di energie rinnovabili nei paesi dell’UE. Inoltre il settore privato è stato incoraggiato a compiere gli investimenti necessari.

Nel 2007 i capi di Stato e di governo dell’UE hanno deciso di adottare una posizione ancor più rigorosa, fissando obiettivi nazionali vincolanti in base ai quali le fonti rinnovabili devono raggiungere il 20 % della nostra energia entro il 2020. Questo presuppone un nuovo obiettivo vincolante: infatti entro il 2020 il 10 % dei nostri carburanti destinati ai trasporti dovrà provenire dai biocarburanti. Queste misure permetteranno di aumentare in maniera radicale il ricorso alle energie rinnovabili.

Previsioni di crescita dell’uso delle fonti di energia rinnovabili nell’UE

Vedi Tabella UE

In futuro aumenterà il ricorso alle biomasse (legno), al biogas e ai rifiuti biodegradabili, ad esempio nelle centrali elettriche, nonché alla cogenerazione, tecnica in base alla quale il vapore generato durante la produzione di elettricità non viene sprecato ma riutilizzato, ad esempio nei sistemi di riscaldamento urbano. Le caldaie a biomassa saranno sempre più diffuse negli edifici, sostituendo gli impianti di riscaldamento elettrici ad acqua calda o a combustibile liquido. È previsto anche un aumento dell’estrazione di calore dal suolo (fonti geotermiche) e del ricorso all’energia solare. L’aumento più marcato nella produzione di elettricità avverrà assai probabilmente nel campo dell’energia eolica, grazie alle turbine sempre più numerose ed efficaci. Infine un maggiore ricorso ai biocarburanti nei trasporti permetterà di ridurre le emissioni di CO2 di questo settore in rapida crescita.

Un nuovo ruolo per l’agricoltura

Nel settore dei trasporti, i biocarburanti derivati dalle colture agricole rappresentano finora l’unica alternativa disponibile su grande scala alla benzina ed al gasolio. Incoraggiare l’utilizzo di biocarburanti contribuisce a ridurre le emissioni e amplia la scelta per quanto riguarda l’approvvigionamento. I biocarburanti possono essere ricavati a partire da un vasto numero di colture presenti nell’Unione europea, fra cui il grano e i semi oleosi, ma possono anche importati da altri paesi in cui vengono prodotti a partire da altre piante, come la canna da zucchero.

L’Unione dispone di un potenziale agricolo sufficiente per produrre biocarburanti. Nel futuro prossimo i biocarburanti non saranno più prodotti solo a partire da colture già utilizzate per l’alimentazione umana ed animale, ma anche da una gamma assai più ampia di prodotti agricoli e forestali e di rifiuti organici. Che sia basata nell’Unione o al suo esterno, dobbiamo fare sì che la produzione di biocarburanti abbia carattere sostenibile, ovvero non comporti il disboscamento o la perdita di biodiversità, né comprometta la produzione alimentare.

Un comportamento energetico intelligente

Il mezzo più semplice per migliorare la sicurezza dell’approvvigionamento e combattere il cambiamento climatico consiste nel ridurre la domanda di energia. Si tratta dunque di utilizzare l’energia in maniera più efficiente per evitare qualsiasi spreco. Questo obiettivo può essere raggiunto grazie alle tecnologie che consentono il risparmio energetico, oppure cambiando il nostro comportamento, o tramite una combinazione dei due metodi. Ma il risparmio energetico è innanzitutto un intelligente comportamento economico: infatti l’obiettivo dell’Unione di usare il 20 % di energia in meno entro il 2020 rispetto agli standard attuali permetterà di ridurre le spese energetiche di ben 100 miliardi di euro all’anno.

Questa traguardo può sembrare difficile da raggiungere, ma nella pratica esistono grandi margini per utilizzare l’energia in modo assai più efficiente, a volte con pochi sforzi. Ad esempio, l’etichettatura indicante il consumo di energia, le norme minime di efficienza e gli accordi volontari dei produttori di apparecchi elettrodomestici hanno finora permesso di ridurre il consumo di energia di un frigorifero o congelatore nuovo medio di circa il 50 % dal 1990. Per quanto riguarda molti altri apparecchi, come le lavatrici o le lavastoviglie, sono stati ottenuti risparmi di oltre il 25 %. Il programma internazionale «Energy Star» fornisce consulenze sulle apparecchiature informatiche e da ufficio maggiormente efficienti dal punto di vista energetico.

I trasporti sono uno dei settori dove esiste ancora un considerevole potenziale non sfruttato in materia di efficienza energetica: l’Unione sta collaborando con l’industria automobilistica e con quella petrolifera per invertire questa tendenza e ridurre la quantità di CO2 emessa dagli autoveicoli. Considerando che gli ingorghi stradali comportano enormi sprechi di carburante, si sta lavorando anche a una serie di progetti infrastrutturali e di iniziative volte a ridurre la congestione del traffico.

Gli edifici sono responsabili del 40 % dell’intera domanda di energia dell’Unione europea. Inasprire le norme per gli edifici ed i loro sistemi di riscaldamento e di produzione di acqua calda permetterà di ridurre il consumo energetico e le emissioni generate da inefficienti sistemi di riscaldamento e raffreddamento. Inoltre la ricerca industriale contribuirà allo sviluppo di nuovi e più efficienti materiali isolanti. Tali misure potrebbero ridurre il consumo di energia negli edifici del 28 % entro il 2020, pari a un risparmio di oltre il 10 % del consumo energetico totale dell’Unione in energia.

Gli apparecchi elettrici inefficienti sono causa di enormi perdite d’energia. È per questo che l’Unione europea cerca di favorire la produzione di apparecchiature ancora più efficienti attraverso l’obbligo di etichettatura indicante il consumo di energia e le norme minime di efficienza.

Una gestione più efficiente dell’illuminazione nelle nostre strade, nei nostri uffici e nelle nostre case è relativamente facile da raggiungere, e le nuove norme comunitarie a questo riguardo entreranno probabilmente in vigore entro la fine del decennio. Ad esempio, passare dalle lampadine normali a quelle a risparmio energetico permette di ridurre il consumo energetico di oltre il 75 %. Certo, queste lampadine costano di più, ma l’investimento verrà più che compensato dalla riduzione della bolletta dell’elettricità.

Molti di noi usano energia senza rendersi conto di quanti sprechi siano provocati dal nostro comportamento. Dotare le nostre automobili e le nostre case di sistemi di misurazione più sofisticati ci permetterà di utilizzare l’energia in modo più intelligente. Ma questo comporta un cambiamento delle nostre abitudini. La Campagna europea per l’energia sostenibile fornisce una serie di lungimiranti esempi in proposito.

La cooperazione internazionale

La nostra dipendenza dalle importazioni diminuirà, certo, ma non scomparirà. Sarà dunque fondamentale mantenere buone relazioni con i paesi produttori di energia o di transito dell’energia. Ciò significa cooperare con i paesi a orientali e meridionali — la Russia, i paesi dell’Europa orientale che confinano con l’Unione, i paesi dell’Asia centrale, e i paesi che si affacciano sul Mar Caspio e sul Mar Nero nonché sul Mediterraneo.

Sarà altrettanto importante cooperare con gli altri paesi consumatori, che siano paesi industrializzati o in via di sviluppo, per decidere insieme le misure volte a ridurre i gas responsabili dell’effetto serra, a utilizzare più efficientemente l’energia e a sviluppare tecnologie energetiche rinnovabili e a bassa emissione, in particolare la cattura e lo stoccaggio del carbonio. Il settore della ricerca svolgerà un ruolo chiave nella diffusione di tecnologie energetiche contemporaneamente pulite ed accessibili.

Il ruolo della tecnologia

Ridurre l’utilizzo dei combustibili fossili può significare che in futuro vivremo diversamente, ma non certo che dovremo sacrificare la qualità della nostra vita, né oggi né domani. Le tecnologie possono apportare un contributo essenziale a un utilizzo più efficace dell’energia nelle nostre vite quotidiane, nell’industria, nei trasporti e nel contesto dello sviluppo sostenibile.

L’industria dell’Unione europea è la prima al mondo nel campo dell’ecoinnovazione e dell’energia sostenibile, e questo la pone in pole-position nella corsa alla crescita e alla creazione di posti di lavoro. L’industria europea è posizionata così bene perché un terzo circa del mercato mondiale delle eco-industrie e dei sistemi di energia sostenibile sono di suo appannaggio. Le imprese europee sono inoltre dominanti nel campo della sostenibilità in quasi tre quarti dei principali settori industriali, e le eco-industrie, così come i sistemi e i servizi energetici sostenibili, offrono centinaia di migliaia di posti di lavoro.

Promuovere l’innovazione pulita

Il programma UE di azione per la tecnologia ambientale prevede un ventaglio di misure volte a favorire l’ecoinnovazione e le tecnologie ambientali. Esso promuove la ricerca e lo sviluppo, mobilita fondi e migliora le condizioni del mercato. Nel quadro del suo settimo programma quadro di finanziamento a favore della ricerca e dello sviluppo tecnologico (2007-2013) l’Unione stanzia notevoli sovvenzioni per la ricerca nelle tecnologie energetiche a tasso di carbonio basso o pari a zero. Il programma comunitario per la competitività e l’innovazione, che include un sottoprogramma intitolato «Energia intelligente — Europa», prevede anche finanziamenti per la ricerca in materia di energia e la promozione dei risparmi energetici.

Un’ampia quota di questi finanziamenti andrà a progetti dedicati direttamente o indirettamente al cambiamento climatico. In particolare ricordiamo: lo sviluppo dell’idrogeno e delle celle a combustibile, ai quali dovremo ricorrere in misura sempre maggiore via via che il nostro utilizzo di combustibili fossili diminuirà; la cattura e lo stoccaggio del CO2; l’efficienza energetica; trasporti non inquinanti ed efficienti e materiali rispettosi dell’ambiente.

Inoltre l’Unione contribuisce alla diffusione delle migliori pratiche e ha creato una piattaforma scientifica in seno alla quale esperti di alto livello possono scambiare le proprie conoscenze. Queste attività prevedono un piano strategico per le tecnologie energetiche, mirato a consentire all’UE di fungere da apripista verso una vera e propria rivoluzione nel nostro approccio all’approvvigionamento, alla produzione e alla distribuzione dell’energia. Inoltre sono previste piattaforme tecnologiche, come ad esempio la piattaforma europea per le tecnologie dell’idrogeno e delle celle a combustibile.

Ridurre il proprio apporto alle emissioni di carbonio

La riduzione del contributo della Commissione alle emissioni di carbonio non richiede solo decisioni politiche da prendere nella lontana Bruxelles o ingenti investimenti da parte delle imprese. Si tratta anche di fornire il contributo individuale e di tenersi informati. Cambiando di poco le nostre abitudini possiamo ottenere grandi risultati.

A casa

Il 70 % dell’energia usata dai nuclei familiari nell’UE viene impiegata per riscaldare le case, e il 14 % per scaldare l’acqua. Prendendo le misure seguenti potremo ridurre le emissioni, spesso anche risparmiando soldi:

Ridurre la temperatura del riscaldamento centralizzato di appena 1 °C; regolando il termostato a una temperatura ancora inferiore quando si è fuori casa, o di notte, si può riuscire a ridurre la bolletta energetica di un quarto.

Isolare i condotti del riscaldamento centralizzato e le pareti. Le perdite di calore tramite le pareti, il tetto e il pavimento rappresentano oltre il 70 % delle perdite totali di calore. Approfittiamone per effettuare lavori di rinnovamento mirati a perfezionare le prestazioni energetiche della nostra abitazione.

Allontanare il frigorifero dai fornelli o dal boiler, in modo che il calore non costringa il frigorifero a lavorare a ritmi più elevati. Impedire che si crei della brina; lasciare raffreddare il cibo prima di riporlo nel frigorifero.

Spegnere. Spegnere cinque lampade nei corridoi e nelle stanze di casa quando non servono può farci risparmiare circa 60 euro all’anno. Usare lampadine a basso consumo di energia può farci risparmiare altri 60 euro all’anno.

Usare gli elettrodomestici con intelligenza: usare la lavatrice o la lavastoviglie solo quando sono piene, riflettere sul programma da impostare, utilizzare l’asciugabiancheria solo se strettamente necessario. Quando si prepara il the o il caffè, usare solo la quantità di acqua necessaria. Se noi tutti evitassimo di fare bollire un litro di acqua superflua al giorno, l’energia risparmiata basterebbe ad alimentare un terzo dell’illuminazione stradale europea.

Non lasciare gli elettrodomestici in «standby». Spegnere completamente gli apparecchi elettronici, i computer, i modem, ecc. E non lasciarli in modalità «standby». Questo accorgimento può farci risparmiare ben 100 euro all’anno! Spegniamo anche il computer nel nostro ufficio e non dimentichiamoci di staccare il caricatore del cellulare dalla presa elettrica quando non lo utilizziamo.

Chiudere il rubinetto mentre ci laviamo i denti, e fare la doccia invece del bagno. Una doccia di media durata consuma un quarto dell’energia rispetto a un bagno nella vasca.

Differenziare per riciclare. Riciclare una lattina di alluminio risparmia il 90 % dell’energia necessaria per produrne una nuova. Riciclare i rifiuti organici per trasformarli in compost. Ridurre la quantità di rifiuti usando meno prodotti e imballaggi «usa e getta», fare compere intelligenti: una bottiglia da 1,5 litri richiede meno energia nella produzione e nel cassonetto ingombra meno di tre bottiglie da mezzo litro.

Passare all’elettricità «verde». Costa un po’ di più, ma più ne viene richiesta più ne viene prodotta, e più ne viene prodotta più il prezzo scenderà, in virtù delle economie di scala.

In macchina

Guidare in maniera rispettosa per l’ambiente può abbattere i consumi di carburante del 5 %. Ecco alcuni esempi di guida ecologica.

Partire a motore freddo. Riscaldare il motore consuma più carburante. Non pigiare troppo sull’acceleratore e passare alle marce alte appena possibile: fanno risparmiare carburante.

Controllare la pressione dei pneumatici. Bastano 0,5 bar in meno per consumare il 2,5 % di carburante in più.

Usare oli motore a bassa viscosità. Un olio di qualità superiore può ridurre il consumo di carburante e le emissioni di CO2 di oltre il 2,5 %.

Smontare il portabagagli dal tetto. Perfino un portabagagli vuoto può fare salire il consumo di carburante e le emissioni di CO2 fino al 10 %.

Rallentare. Chi viaggiare a oltre 120 km orari consuma il 30 % di carburante in più per chilometro di chi viaggia a 80 km orari. Anche mantenere una velocità stabile riduce i consumi.

Inoltre…

Viaggiare in treno. Una persona che viaggia in treno emette due terzi di anidride carbonica in meno rispetto a una persona che viaggia in automobile da sola.

Pensare a mezzi di trasporto alternativi all’aereo. I trasporti aerei sono la fonte di emissioni di CO2 che cresce al ritmo più veloce a livello mondiale. Ma oggi chi prende l’aereo può «compensare» le proprie emissioni di carbonio! Infatti esistono apposite organizzazioni cui si possono versare modeste somme di «compensazione», che loro provvederanno ad investire in energia rinnovabile o nella piantagione di alberi.

Andare in bicicletta, camminare, ricorrere al car pooling, usare i mezzi di trasporto pubblici e telelavorare.

Fare acquisti intelligenti. Acquistare apparecchi contrassegnati da etichette che ne testimoniano l’efficienza energetica, merci con imballaggi leggeri e riciclabili, prodotti alimentari locali e automobili a basso consumo di carburante con emissioni di CO2 per chilometro possibilmente basse.

Per approfondire:

Una politica dell’energia per l’Europa:

ec.europa.eu/energy/energy_policy/index_en.htm

Cambiamento climatico:

ec.europa.eu/environment/climat/home_en.htm

«L’azione dell’UE contro il cambiamento climatico: lanciare l’azione globale verso il 2020 e oltre» (opuscolo):

ec.europa.eu/environment/climat/pdf/eu_action_against_climate_change.pdf

Campagna «Energia sostenibile — Europa»:

www.sustenergy.org

ea.europa.eu/themes/climate


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